Il regista di origini indiane M. Night Shyamalan ci regala un ulteriore e confermativo tassello del suo cinema fantastico riproponendo le sue atmosfere inquientanti e apocalittiche di un mondo che si sta autodistruggendo.
Riprendendo i temi dei film "Sign" e "Il Sesto senso", in questa pellicola, sviluppa un argomento di per sè spinoso e coinvolge una famiglia omogenitoriale, di due uomini, che hanno adottato una bambina asiatica. La narrazione diventa, ben presto, escatologica, rappresentativa e complessa: il discorso sulla fine dei tempi contenuto nei vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca viene scandita dall'arrivo di quattro loschi individui, visionari, catapultati nella vita di questa famiglia composta da due genitori, Eric e Andrew, e dalla loro amata figlia Wen.
La narrazione si fa strada inculcando il dubbio tra i personaggi; si fa un discorso serio sulla fede, credere o non credere: una lotta continua tra il razionalismo e l'ateismo di Andrew e la spiritualità fragile di Eric.
Gli assalitori si spacciano per una di quelle sette suicide balzate purtroppo alla cronaca nera americana a causa del delirio collettivo condiviso dell'apocalisse: se da una parte si viene spiazzati dai continui colpi di scena della storia, dall'altra il dubbio di una truffa e una violenza omofobica assale continuamente lo spettatore.
Il meccanismo dei colpi dei scena orchestrato da questo grande autore americano permette di svelare, in modo chirurgico, le psicologie dei personaggi e il loro rapporto familiare di amore puro, incondizionato, quasi il teorema rapresentativo della famiglia GLBTQIA+ tanto attaccata in questo periodo storico dalla destra conservatrice.
M. Night Shymalan, però, sceglie questo argomento, indirettamente spinoso, quello dell'adozione e delle famiglie omogenitoriali, forse pensando di creare un contesto originale e poco praticato dal cinema americano e internazionale. Il rischio, però, di non rispettare il politically correct deve aver, in qualche modo ostacolato, la distribuzione e la fruizione del film nelle sale. "Bussano alla porta" ha ricevuto una tiepida accoglienza da parte del pubblico dovuta, probabilmente, al complesso tema religioso della fine del mondo e al tema del sacrificio estremo, tipicamente cristiano, fatto per gli altri: per molti agnostici e atei il fatto di ipotizzare un potere superiore che può decidere sulla vita o sulla morte dell'umanità deve essere stato disturbante e respingente. Eppure, grazie ad un'attenta visione, si intravede la perfezione con cui viene scandita la suspense e il cadenzarsi dei fatti: un ritmato e inesorabile destino fatto di scelte sbagliate ad indicare un mondo e un'umanità prossima all'autodistruzione, non solo a causa dei problemi ambientali provocati dalla sete di denaro dei grandi poteri, ma anche dalla generale crisi valoriale della società contemporanea in cui prevale principalmente il possesso materiale. Siamo come anestetizzati. La scena dello tsunami dove nessuno si accorge del pericolo imminentene ne è la rappresentazione.Inoltre lo spessore dei personaggi e del loro rapporto, come la trama di un tessuto, raggiunge la perfezione. Bussano alla porta si eleva dal solito film fantasy di genere per creare quello che forse è il capolavoro di questo curioso regista e produttore.
Un capolavoro confermato, anche, dalle interpretazioni magistrali di tutti gli attori, anche di quelli secondari: oltre al bravissimo Ben Aldridge e Jonathan Gross spicca l'ex wrestler statunitense David Bautista e Rupert Grint, il Ron della saga di Harry Potter. Notevole è anche l'interpretazione della bambina, Kristen Cui, capace di tener testa a tutto il cast.
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