Una sorta di spin off della trilogia di Alien con l'indiscussa e inimitabile protagonista, Sigournie Weaver, recentemente premiata alla carriera al festival di Venezia.
Il film narra del solito gruppo di sprovveduti minatori: sfruttati dalla compagnia mineraria nello sperduto pianeta LV 410 cercano l'opportunità di scappare per un pianeta migliore. Per il viaggio hanno bisogno delle capsule criogeniche individuate in una vicina stazione spaziale abbandonata; come è prevedibile incontreranno la specie ostile e distruttiva degli Alien non rendendosi conto di cadere dalla padella alla brace!
Rivediamo l'androide, interpretato dal clone digitale del defunto attore Ian Olm, nel ruolo di Rook, un uffiale scientifico dalle deliranti idee di creazione dell'essere umano perfetto come un Dio. Un omaggio/citazione del primissimo Alien che può un po' incuriosire, ma quello che lascia perplessi è una sceneggiatura prevedibile e priva di reali picchi di tensione.
Quello che manca, in questa saga interminabile che ormai gli appassionati fedeli fan seguono ad oltranza, è proprio l'originalità: forse perchè è stato raccontato tutto, forse perchè nella fantascienza attuale mancano nuovi spunti per delle narrazioni originali e avvincenti e, forse, perchè questa moda dei sequel non fa raggiungere una chiusura definitiva: causa anche di uno sfruttamento commerciale che raschia il fondo del barile.
Un film prelamentente citazionista, come anche il finale, sicuramente sincopato, ma che rimpiange un sexy e bravissima Sigournie Weaver, ricordiamo capace di entrare, leggera come una libellula in una tuta spaziale, per poi diventare forte e deteminata nello scacciare l'invasore dalla sua astronave: qui la protagonista, Cailee Spaeny, ne è una pallida controfigura.
Da scordarsi, quindi, l'azione e l'avventura di James Cameron e le atmosfere horror-apocalittiche dei primi Alien, consapevoli di una visione scolastica, ben eseguita, ma scolastica come un compitino mal riuscito.
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